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Resilienza e taccuino comunale
Per accrescere la conoscenza sulla percezione del rischio sismico del territorio brugherese è stata lanciata un’inchiesta “Hai sentito il terremoto?” tramite la quale costruire un vero e proprio “taccuino comunale”, a disposizione della comunità, riportante le testimonianze dei cittadini relativamente alla storia sismica locale.
Nel caso di Brugherio, in assenza di una vera e propria memoria sismica collettiva si è pensato alla sua costruzione attraverso un «taccuino comunale» in cui verranno narrati i ricordi dei cittadini relativamente agli eventi sismici più significativi (terremoto del Friuli - 1976, Terremoto Franciacorta - 2002, Terremoto nel parmense - 2008).
Introduzione

Nell’ambito della campagna nazionale “IO NON RISCHIO – Buone pratiche di protezione civile”, promossa dal Dipartimento di protezione civile, la piazza brugherese, nei giorni 10-11 ottobre, vedrà l’Associazione Nazionale dei Carabinieri (ANC) di Brugherio impegnata nella narrazione del rischio sismico (e non solo) del comune di Brugherio.
Numerose le attività previste in piazza:
-          Gazebo informativo-conoscitivo “IO NON RISCHIO”
-          Geo-camminata Occhiate- Increa
-          Shake-mod (pedemoto)


Un modello di memoria

Ricordi tremolanti. Tra Passato e futuro. Memoria e prevenzione
La memoria di ciascuno è costantemente aiutata e stimolata dai rapporti che intrattiene con quella di tutti gli altri membri di uno stesso ambiente sociale.
La memoria collettiva è collegata agli effetti sociali di un avvenimento e, fino a quando questi perdurano, difficilmente un gruppo sociale dimentica.
Si tratta di un «prolungamento» della memoria sociale che dipende anche dall’importanza sociale che viene data al ricordo collettivo della catastrofe: la società perpetua, trasformando i nostri ricordi individuali in ricordi collettivi.
Educare alla memoria significa partire dalla storia di ogni persona, dalle narrazioni personali per poi aprirsi alla storia degli altri, al linguaggio, alla comunicazione.
Sviluppare questa capacità, questo bisogno di raccontarsi, equivale a sviluppare la Capacità di riconoscersi nelle storie degli altri e nelle narrazioni degli altri, perché attraverso la nostra storia personale riconosciamo di far parte della Storia innanzitutto, ma anche di un territorio, di una cultura, di un’epoca.
E’ solo nella società e dalla società che il singolo acquisisce i suoi ricordi, li richiama, li fissa, li rinnova.
Il che implica che questa memoria è una sorta di sovrastruttura che va al di là delle memorie individuali e abbraccia una massa di ricordi e di immagini che, anche se nessun individuo è in grado di padroneggiare, gli permettono pur tuttavia, nell’abitarla, di condividere un universo di significato comune (M. Halbwachs, I quadri sociali della memoria).
La narrazione parte generalmente da chi l’ha «scampata» che è particolarmente investito dal dovere di ricordare, di testimoniare. Essi lo devono prima di tutto a chi non ha più voce:
«Coloro che sono ancora vivi ricevono un mandato da coloro che restano silenziosi per sempre. Non possono assolvere il proprio dovere se non cercando di ricostruire con precisione lo stato dei fatti così come era, separando il passato dalle finzioni e dalle leggende» (E. Kattan, Il dovere della memoria, 2004).
In questa affermazione viene posta in risalto principalmente la funzione di «resistenza» che hanno questi racconti contro ogni falsificazione e ogni tentativo di revisionismo, negazione o cancellazione della storia.
La Memoria Collettiva

Memoria Collettiva
Si registrerà la memoria come fenomeno Collettivo, come «fatto sociale». Per comprendere al meglio la memoria dell’individuo, la sua strutturazione e conservazione, bisogna ricondurre tutto questo ai cosiddetti «quadri sociali», ovvero a quelle categorie sociali senza le quali sarebbe impossibile tanto la fissazione, quanto il riconoscimento dei ricordi personali.
La storia insegna che ogni individuo dovrebbe essere fonte e frutto degli insegnamenti che vengono dal passato, custodendone la memoria e sviluppando, a partire da questa, una propria Coscienza Civica.
La narrazione della propria esperienza risulta quindi un dovere Collettivo così come del singolo soggetto.
La memoria della catastrofe pertanto, se Condivisa e partecipata, potrebbe risultare un valido strumento metodologico di educazione e prevenzione anche dal rischio della catastrofe stessa. Attraverso la narrazione della memoria percepiamo e interpretiamo il mondo sociale, culturale e materiale che ci circonda e orientiamo la «Capacità» di rispondere alle circostanze di rischio in modo attivo (pro-attivo).
«Una Comunità usa la propria esperienza comune, accumulata nel tempo, per determinare quali perdite prevedibili siano più probabili, quali perdite probabili siano più dannose e quali danni possono essere evitati» (Douglas, Rischio e colpa).
Vale la pena ricordare che nella formulazione del rischio è necessario tener conto di un fattore C (Capacità) legato alla comunità di un dato territorio. La riflessione sulla territorialità, in riferimento al tema della prevenzione, consente di evidenziare la necessità sociale di individuare modi e forme per ridare, a chi abita il territorio, la Capacità e la possibilità di governarlo in quanto componente imprescindibile per la propria sicurezza e il proprio benessere.

                 
R = (P x V x E) / C =
R = (P x D) / C

R = Rischio
P = Pericolosità
V = Vulnerabilità
E = Esposizione
D = Danno
C = Capacità della comunità (Resilienza)
C = una Comunità «fondata» sul proprio «Cuore», sul “Cervello”, sulla “Pace”.
La Territorialità e processi di partecipazione

La riflessione sulla territorialità, in riferimento al tema della prevenzione, consente di evidenziare la necessità sociale di individuare modi e forme, per ridare, a chi abita il territorio, la Capacità e la possibilità di governarlo in quanto componente imprescindibile per la propria sicurezza e il proprio benessere.
La riflessione sulla partecipazione può assumere una duplice veste:

1. In primo luogo, come metodologia d’indagine (ricerca-azione) che prevede il coinvolgimento sistematico, da parte degli «esperti», di chi vive il territorio quotidianamente. Questi diventano in tal modo «soggetti» di comunicazione della conoscenza geografica (conoscenza profana) e non meri «oggetti di studio».

2. In secondo luogo, come una piattaforma di comunicazione e spazio di riflessione etica che funga da catalizzatore di dinamiche politiche e sociali orientate all’incremento della Capacità dei cittadini di governare il proprio territorio.

La ricerca si prefigge così di pervenire a un quadro interpretativo non tanto «vero» o «oggettivo» quanto «giusto» perché co-costruito e riconosciuto come pertinente. Le problematiche da indagare non vengono definite aprioristicamente ma in itinere (Conoscenza itinerante) come frutto di un dialogo costante orientato alla costruzione di valori e prassi ampiamenti condivisi e diffusi.
Il territorio costituisce, da un lato, un «archivio culturale» perché in esso si sedimentano e si conservano significazioni, valori, memorie, paure, eventi di rilevanza sociale; dall’altra, il territorio agisce sulla società come un dispositivo «attivo» capace di dare vita a prassi individuali e collettive che a loro volta si riflettono sui meccanismi di produzione della cultura. La territorialità, in questa prospettiva, si definisce come uno dei prodotti più raffinati che la cultura può produrre. E’ il senso che un gruppo sociale attribuisce al suo legame con il territorio nel tempo in cui lo abita, lo trasforma, lo proietta nel futuro percependolo di volta in volta o al contempo, come luogo, ambiente, paesaggio.
Essa è la narrazione che una Collettività costruisce sul rapporto che la lega al suo territorio. Da questa narrazione derivano il senso di appartenenza, di identità, di topofilia della comunità.
La territorialità può articolarsi a partire da qualsiasi elemento del territorio, tanto materiale che immateriale; in concreto, però, sono alcuni elementi in particolare ad acquisire centralità nella costruzione narrativa.
Un ruolo di rilievo lo gioca sicuramente la «casa» (e quindi l’abitato nel suo complesso). Dalla scelta della casa dipendono i tracciati e le direttrici delle varie pratiche che l’abitare comporta: lavoro, studio, tempo libero, transazioni commerciali, etc.
I luoghi hanno quindi la capacità di agire attivamente sul benessere psico – fisico dell’individuo; di concorrere alla realizzazione personale dell’individuo come essere umano e come cittadino; di rendere possibile l’ancoraggio dei singoli al contesto spazio – relazionale e alla vita sociale in generale.
Le forme dell'abitare

Nei modelli riportati sono visualizzati i due modi dell’abitare: quello monotopoico e quello multitopico.
Nel primo modello, è evidente come le pratiche che l’abitare comporta (andare a lavorare, a scuola, fare la spesa etc.) si risolvano all’interno del limite di prossimità, ovvero di vicinanza al luogo di domicilio, tipico di un abitare monotopico, ossia di un abitare connotato dal sentimento di vivere un luogo Coeso e Coerente, ad elevato Capitale di sociabilità.
Nel secondo modello, invece, le pratiche relative all’abitare si svolgono per lo più oltre i limiti di prossimità: i luoghi percepiti come familiari non sono quelli “vicini”, che invece non è detto che siano quelli più conosciuti.



La percezione alimentata dall’abitare multitopico è quella di un vivere frammentato, incoerente, segnato da fratture che non danno modo di esperire un tessuto abitativo ma piuttosto una pura distribuzione di localizzazione nella quale tra il punto di partenza e il punto di arrivo di una perenne circolazione e mobilità si ha l’impressione che non ci sia “nulla”. E così. “vicino” non significa più conosciuto, sicuro, familiare.
La familiarità rappresenta un fattore importante in quanto condizione necessaria alla costruzione del racconto di sé, di sé in rapporto con gli altri, e di sé in rapporto con i luoghi (Narrazione): la familiarità è una precondizione della territorialità.
Se i luoghi praticati quotidianamente sono qualificati come mere localizzazioni, per di più staccate e indipendenti tra loro, non si definisce per l’individuo una sintassi e non si costruisce un tessuto sociale.
A livello pragmatico, ciò, si traduce in atteggiamenti improntati all’individualismo, all’opportunismo, alla strumentalità.
L’abitare multitopico, in questo senso, può indurre comportamenti nei confronti del territorio che vanno dalla disattenzione all’indifferenza, fino al totale “rifiuto” dei luoghi dell’abitare che patologicamente si esprime nell’atopia (nessun luogo), ovvero nella definizione di A. Turco “l’atopia proclama il collasso dell’uomo – abitante che, privato in qualche modo della sua sostanza culturale, si pone disarmato di fronte ai processi di degradazione della spazialità”.
Quadro di casa di Brugherio

Quadro di casa Brugherio
L’alba, la Pianura Padana si svegliava coperta dai boschi e calpestata dagli Insurbi, cugini di primo grado dei Celti. Si era alle soglie dell’estate del 517, prima di Cristo. La paglia che copriva una misera capanna che spuntava in mezzo a quella Pio anura solcata da numerosi corsi d’acqua conteneva una vasta gamma di animali e insetti. C’era tra loro anche Irgiunto, un ragazzo che chiamavano ‘il matto’. E vi si trovava bene. Il suo aspetto lo faceva parente stretto delle scimmie, per la gioia di Darwin. Tuttavia Irgiunto era un uomo. E celtico, perdi più.” (la città di bartolomeo, Claudio Pollastri, 1978, p. 9)

Per ri-disegnare il paesaggio locale è necessario quindi prendere in considerazione “nella loro inscindibile correlazione, categorie come: ambiente, territorio, paesaggio. Il primo è la dimensione bio/ecologica del nostro vivere e operare, il secondo è lo spazio costruito, la dimensione su cui esercitano le attività di una società ... l’ultimo è la proiezione sensibile del territorio: l’immagine, il segno di una società, il segno nel quale essa si ritrova, ritrova i propri connotati, la propria misura di sé” (Turri E., Scritti per il Piano Territoriale Paesistico Regionale Lombardo)

Il fenomeno paesaggio si manifesta come relazione intercorrente tra il territorio e il soggetto (comunità di soggetti) che percepisce e che ne valuta e ne apprezza i tratti, le qualità paesaggistiche, in relazione alle categorie culturali della società di appartenenza.



George Simmel ad inizio ‘900 esplicitò questo concetto con un’immagine molto efficace: “ciò che abbracciamo con lo sguardo all’interno del nostro orizzonte non è ancora paesaggio, ma tutt’al più materiale per esso – come una quantità di libri non è ancora ‘una biblioteca’, ma lo diventa solo quando un concetto unificante li ordina secondo il proprio criterio formale”.

Alla costruzione di tale codice contribuiscono la scuola e i vari mezzi di comunicazione di cui la società si avvale per rappresentarsi. Si costituisce così “l’habitat culturale” di formazione (razionale ed emozionale) che rende possibile la fruizione del paesaggio come esperienza individuale e collettiva.

Il paesaggio denota il mondo esterno mediato attraverso l’esperienza umana oggettiva in un modo che né la ragione né l’area suggeriscono immediatamente. Il paesaggio non è semplicemente il mondo che vediamo, esso è una costruzione, una composizione di quel mondo, Il paesaggio è un modo di vedere il mondo (...) il paesaggio non si presta facilmente alle strutture del metodo scientifico. La sua unità e corenza sono, come abbiamo detto, radicate in un modo di vedere” (Denis Cosgrove, Realtà sociale e paesaggio simbolico, 1984)

Ci si catapulta così al “Centro” della “Casa Brugherio” come in un Centro di forza, di intimità, in una zona di protezione assoluta dove i nostri ricordi personali possono venire ad abitarci (vedi “Memoria collettiva”).
                     
Ci si catapulta così al “Centro” della “Casa Brugherio” come in un Centro di forza, di intimità, in una zona di protezione assoluta dove i nostri ricordi personali possono venire ad abitarci (vedi “Memoria collettiva”).


La Geo-camminata

questo argomento e' trattato in una sezione dedicata di questo sito
Shake-mob (pedemoto)

In virtù della riclassificazione sismica di Regione Lombardia, la piazza di Brugherio si occuperà del rischio sismico.  Per coinvolgere i ragazzi e i cittadini, in data 13/10/2019 alle ore 18 circa, si propone di posizionare in piazza Roma un sismografo e proiettare le rilevazioni in tempo reale del "rumore" sismico-ambientale.
Si tratta di una sorta di "flashmob" ("shake-mob" o pedemoto) utile alla generazione di rumore ambientale ottenuto dal salto di parecchi cittadini reso visibile attraverso la proiezione su schermo dei dati registrati dal sismografo.
Lo spettacolo avverrà a ritmo della musica “Il Canto della Terra” ottenuta dalla trasformazione del segnale sismico caratteristico del territorio brugherese. Questa elaborazione musicale e' opera del maestro Franco Eco (link)



Registrazione di microtremori   con sismografo
Nel caso di Brugherio, in assenza di una vera e propria memoria sismica collettiva si è pensato alla sua costruzione attraverso un «taccuino comunale» in cui verranno narrati i ricordi dei cittadini relativamente agli eventi sismici più significativi (terremoto del Friuli - 1976, Terremoto Franciacorta - 2002, Terremoto nel parmense - 2008).

Sotto una testimonanzia raccolta:
"FRIULI 1976 - Una serata tranquilla come tante altre. Il papà che ascolta la musica con le cuffie, la mamma che termina di rigovernare la cucina, i fratelli nelle loro camere, io sul divano a guardare la TV. A un certo punto la mamma si affaccia in soggiorno con il viso stravolto. “Mi sento male! -dice- Mi gira forte la testa”. “Mamma, siediti qui vicino a me. Papà, la mamma non sta bene!”. Pochi secondi, registrati nella memoria come un rallenty alla moviola. Lui si toglie le cuffie. Alza gli occhi verso il lampadario. Nel momento stesso in cui penso all'assurdità di quel gesto, li alzo anch'io. Il lampadario dondola visibilmente. E nella mia testa di sedicenne confliggono l'immagine di ciò che vedo, il malessere della mamma, una strana e mai provata angoscia e una sensazione di nausea. Nello stesso istante, i fratelli escono dalle camere e si precipitano in soggiorno. “Cosa succede?” gridano. “Il terremoto!” dice il papà con voce calma e ferma. “La mamma non sta male, c'è il terremoto. Scendiamo, svelti!” In silenzio, percorriamo tutte e sei le rampe di scale che ci separano dalla strada. Anche altri condomini scendono le scale, anche loro in silenzio. In strada decine di persone. Finalmente le bocche si riaprono in un gran vociare liberatorio. Ci si abbraccia, anche tra gente che non si conosce. Il giorno dopo a scuola i prof non riescono a fare lezione. A ogni cambio dell'ora ci aggiornano sul numero dei morti. (Ass.re Laura valli  Comune di Brugherio)
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